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atato e firmato 1901, viene esposto dall’artista per la prima volta in occasione della IV Biennale di Venezia, dove viene acquistato dal cavaliere Felice Piacenza di Pollone . Tito parteciperà alla celebre rassegna veneziana con una continuità che ha pochi uguali tra i suoi colleghi, in un periodo compreso tra il 1895 – dove esordisce con capolavori quali La ruota della Fortuna e La processione – e il 1940, anno precedente alla sua scomparsa. La vetrina artistica della Biennale, per la quale ricoprirà anche ruoli di rilievo nei comitati ordinatori e organizzatori, è certamente il canale privilegiato per l’affermazione della pittura di Tito nel panorama artistico sia italiano che internazionale. Ilario Neri, tracciando uno dei primi e più completi profili biografici dedicati all’artista, ricordava Biancheria al vento come una delle opere più rappresentative del senso del movimento che l’artista era in grado di infondere alle sue composizioni, grazie anche a una tecnica che pur guardando con attenzione ai grandi maestri del passato – in primis Giambattista Tiepolo – riusciva a veicolare una «rarissima freschezza», «per l’esecuzione nervosa e studiata con mezzi suoi particolari» . Biancheria al vento, ampiamente apprezzato dalla critica dell’epoca, sarà selezionato per comparire nella sala personale dedicata al pittore veneziano nell’ambito dell’esposizione di belle arti organizzata nel 1906 a Milano per l’inaugurazione del Sempione : «Tutt’altro genere è l’altro quadro di Ettore Tito […]. La vigorosa creatura ci sembra d’averla veduta in campo a San Polo a Venezia, dove le lavandaie (così usavano almeno una volta: non sappiamo adesso!) stendevano sulle tese corde, al sole, all’aria, la biancheria appena uscita dal bucato; e là, esse, fra quel candore di ampi lenzuoli, di camicie dalle braccia disperatamente distese, e di tutti gli altri intimi indumenti, sembravano regine autoritarie, che correvano qua e là, e mettevano a segno, con bruschi movimenti, le tele e i cotoni, che si abbandonavano alle follie del vento. Biancheria al vento del Tito ci mostra una di quelle lavandaie fra le lenzuola furiosamente svolazzanti sulle corde. Il vento è impetuoso; agita la biancheria, le gonne della giovane ch’é salita su una sedia; agita il fazzoletto nel quale essa si è avvolta la fiera testa. È tutto un movimento indiavolato. Ettore Tito è anche il pittore del movimento; il pittore del vento, dell’aria». Le parole di Raffaello Barbiera che ricordano Tito come «pittore del vento, dell’aria» trovano conferma in moltissime opere che attraversano l’intera produzione dell’artista. Soffermandoci al solo soggetto delle lavandaie, affrontato con maggiore frequenza tra la fine degli anni Ottanta e i primi anni del Novecento, vanno almeno ricordati, Lavandaie sul Garda, Sulla Diga, Le Rappezzatrici e Tempo favorevole.
Silvia Capponi